Alzheimer, per fortuna hanno scoperto la cellula che lo ANNIENTA | Svolta storica del 2025, i medici esultano
Non è ancora stata trovata una cura, ma uno studio sull’Alzheimer, condotto in America, potrebbe dare una svolta
Si chiama Morbo di Alzheimer è si tratta della forma di demenza degenerativa più comune altamente invalidante. Si tratta di un disturbo neurocognitivo che colpisce il sistema nervoso centrale e che presenta all’inizio la difficoltà nel ricordare gli eventi recenti, l’afasia, il disorientamento.
Con l’andare avanti del tempo la malattia provoca cambiamenti repentini dell’umore, depressione, incapacità di prendersi cura di se stessi, problemi comportamentali: si perdono dunque le capacità mentali di base. L’aspettativa di vita, dal momento della diagnosi, va dai 3 ai 9 anni, con una velocità di progressione che cambia da soggetto a soggetto.
La malattia è stata scoperta nel 1906 dallo psichiatra e neuropatologo tedesco Alois Alzheimer, ma la ricerca su questa patologia prosegue dal momento che non è stata trovata ancora la causa che la provoca, anche se è stata stabilita un’associazione con le placche amiloidi e gli ammassi neurofibrillari presenti nel cervello.
Si conosce dunque la degenerazione, che pregiudica progressivamente le cellule cerebrali, ma non ciò che la causa, e finora i trattamenti terapeutici riescono solo a dare piccoli benefici e tentano di rallentare parzialmente la progressione della malattia. Si pensa comunque che ci sia un rischio genetico per l’insorgenza della malattia.
Alzheimer in crescita esponenziale
L’Alzheimer è sempre più diffuso ed è una delle malattie con il più grave impatto sociale del mondo. Ma sembra che i progressi sull’Alzheimer abbiano individuato, grazie a uno studio americano, un meccanismo cellulare chiave della malattia che potrebbe essere una svolta su nuovi trattamenti per il rallentamento della progressione della patologia.
Un team di ricercatori del Graduate Center della City University di New York ha individuato il doppio ruolo delle principali cellule “guardiane” del cervello, vale a dire le cellule immunitarie della microglia. Queste cellule proteggono il sistema nervoso centrale e in caso di eccessivo stress possono produrre sostanze tossiche che incidono sulla neurodegenerazione tipica dell’Alzheimer.
Cosa ha trovato il team di ricerca
I primi test condotti sui topi in laboratorio danno buone speranze. Bloccato il meccanismo di risposta allo stress di queste cellule “guardiane” e quindi impedita la produzione delle sostanze tossiche si evidenzia un miglioramento dei sintomi.
Ma bisogna riconoscere un aspetto importante legato alla malattia: il legame che esiste tra lo stress e gli effetti tossici derivanti dalla risposta immunitaria di queste particolari cellule. Tale scoperta potrà fornire la chiave su nuovi trattamenti terapeutici volti a bloccare la progressione della malattia con farmaci adeguati, e rappresenta una speranza per milioni di pazienti.