Sono ormai due settimane che è ripartita la serie televisiva tratta dai libri di Elena Ferrante, la tetralogia de “L’Amica Geniale”, un successo a livello mondiale, ed è ripartita, con la serie televisiva, anche la caccia all’autore mascherato, autore mascherato che si nasconde sotto il nom de plume di Elena Ferrante.
Claudio Gatti, forte della sua inchiesta pubblicata da Il Sole 24 ore, nel 2016, inchiesta che fece imbestialire non poco Sandro Ferri editore di E/O, la casa editrice romana che ha pubblicato l’opera omnia della Ferrante, facendogli dire che era inconcepibile trattare le scrittrici come delle camorriste. Il giornalista, seguendo la pista dei soldi, era arrivato a dire che la misteriosa scrittrice nascosta dietro la Ferrante fosse Anita Raja, moglie dello scrittore Domenico Starnone e traduttrice di mestiere. Oggi lo stesso Gatti lo afferma con sicurezza e la notizia è rilanciata dagli altri giornali.
Ma perché diventa così importante questa caccia all’autore?
In un sistema editoriale asfittico come è quello italiano, difficilmente votato al mercato, l’operazione di Sandro Ferri è unica e geniale, come è geniale per la Ferrante avere giocato, grazie alla sua falsa identità, con il bipolarismo femminile al punto da dare vita a due personaggi distinti e separati, personaggi cui assegnare un peso e un fardello, fardello e peso che è delle donne, così da offrire a ogni donna, almeno sulla carta, una possibilità di vita altra, moltiplicandone le identità, possibilità cheè poi della scrittura stessa, scrittura che sembra essere la religione laica dell’autrice mascherata, la sua bussola e la forza cui delega la possibilità di fare passare questo messaggio in bottiglia e cioè che la Trinità è una condizione umana non solo divina, ed è una prerogativa femminile e letteraria.
Come nella storia così anche nella realtà “virtuale” Lila, la Raja (?) che guarda se stessa avanzare attraverso Elena, è oggetto di bullismo. Di fatto questo bisogno esasperante di fare uscire la Raja allo scoperto è un atto di bullismo, un bullismo che le donne per prime difendono e diffondono con violenta leggerezza, a riprova di come l’identità femminile sia tragicamente irrisolta in questo paese, e di come i libri della Ferrante siano manuali di femminismo, di psicologia, incompresi e per questo utili.
La serie televisiva ne amplifica la portata, tesa com’è a sviscerarli e quindi amplifica pure la necessità di fare uscire allo scoperto l’autrice, autrice che per la verità è nuda, proprio grazie all’operazione e alla scelta editoriale fatte.
La trasposizione televisiva dei libri lo mette ulteriormente in luce questo fenomeno, come la scelta di utilizzare il dialetto, nella sua accezione violenta e volgare, come linguaggio usuale, privato, introspettivo. Se i personaggi parlassero in italiano si perderebbe il senso anche della contrapposizione tra loro e il tutto sarebbe fuori contesto. Eppure c’è chi polemizza anche su questo, Il dialetto infastidisce l’orecchio di chiunque, soprattutto quando è così violento e volgare, ma se sono personaggi popolari come devono e possono parlare soprattutto se la storia, tutta questa storia, è in presa diretta? Una presa diretta attraverso cui il bipolarismo delle due protagoniste si estrinseca.
La mente, Lila, si mette a capo di ogni cosa, prendendo e pagando ogni cosa che ottiene, camminando spedita attraverso le macerie esistenziali sue e degli altri, tracciandone la strada anche in amore; il braccio, Elena, rielabora e corregge, sbagliando, in una suggestiva operazione di editing che non fa altro che rafforzare l’ego di entrambe, ricomponendolo.
Lo scopo di tutto questo è anche quello di non trasformare il cordone ombelicale in una grossa forbice, forbice capace di ferire le stesse donne per prime e poi gli uomini.
Per questa ragione entrambe le identità femminili ascoltano questo coro greco che si prospetta ogni volta sulla scena , guardandolo agire e soffrire.
Il risultato è una fermezza assoluta della storia, storia che essendo squisitamente letteraria si consolida, allontanando sempre più la figura dell’autrice delle pagine, e facendo prendere forma alle parole, parole che danno sostanza e anche tenuta a questo bipolarismo reale e letterario insinuante.
E se a volte sembra che l’amicizia tra donne sia in realtà una guerra che non conosce tregua, una condizione che riguarda tutte le donne, nessuna esclusa, da qui la difficoltà di uscire, in Italia, dal maschilismo, dell’altra a questo corpo doppio è riconosciuta sapienza, da qui la necessità degli altri di raccontarsi attraverso Lila ed Elena.
In questo gioco letterario e di vita Claudio Gatti si è inserito, al punto da essere diventato lui stesso parte del gioco, come se questo suo bisogno di verità alla fine lo avesse condotto fin dentro la seduzione delle pagine dell’opera, in pratica è diventato Sarratore junior, sedotto da Lila/Elena/Raja, un fatto più che giusto.
La Ferrante, chiunque essa sia, scrive di testa, e un uomo e una donna passionali solo di testa si prendono. Gli altri si prendono a caso, da sempre, e quindi alla fine Gatti è stato sedotto dalla Ferrante al punto da doverla per forza smascherare.