Quale nesso può esistere in letteratura tra due ‘categorie’ – amore ed eroismo – all’apparenza tanto lontane e contrastanti in tutte le loro molteplici funzioni espressive (pubbliche e private, emotive e concettuali)? Prova a spiegarlo – molto opportunamente sostenendo il suo ragionamento con un approccio critico di chiaro taglio comparatistico – Massimo Fusillo nel suo ultimo libro, “Eroi dell’amore. Storie di coppie, seduzioni e follie”: con la consapevolezza, data in premessa, di trovarsi di fronte ad un mare magnum di innumerevoli “configurazioni”; e però sempre riuscendo a individuare – nelle storie prese a campione – le “costanti” che sistematicamente ritornano nel corso dei secoli, in tradizioni letterarie e forme d’espressività culturali differenti. Ai tre capitoli che compongono l’indice del volume possono essere ricondotte le tre opzioni di lettura che Fusillo suggerisce a sostegno delle sue argomentazioni. Innanzitutto, l’amore di ‘coppia’: “chiusa e fedele, concepita come un microcosmo contrapposto al macrocosmo della società, e capace di sconfiggere lo spazio e il tempo, avendo come unico ostacolo la morte”. E in questa prima linea già si palesa la compresenza del ‘binomio’ – in prevalenza rappresentato da una ‘coppia’ – interpretando l’eroismo del sacrificio estremo (la morte) come estremo gesto d’amore. Dagli amori “asimmetrici” della tradizione classica – quella dei romanzi antichi greci e romani, con le prove più significative nelle “Etiopiche” di Eliodoro e nel “Satyricon” di Petronio – alla tradizione letteraria anglosassone con le tragiche vicende di “Romeo e Giulietta” dal testo shakespeareiano (tenendo anche sempre conto anche delle proiezioni contemporanee del testo originale, musicali e cinematografiche) e del romanzo di Emily Brontë “Cime tempestose”.
Sulla medesima traccia Fusillo opportunamente innesta i rifacimenti e le riscritture che narrano l’eroicizzazione delle coppie di innamorati – o di uno dei protagonisti, generalmente l’‘eroina’ – attraverso la scelta obbligata della morte: “La Traviata” di Verdi (con il suo modello, “La signora delle camelie” di Dumas) e “Tristano e Isotta” di Wagner; “eroi del desiderio” mossi dalla stessa forza incontrollabile che agita la poesia di Saffo; che è indagata in filosofia e psicoanalisi (da Freud a Lacan); e che trova una moderna e compiuta descrizione nell’opera di “una grande scrittore wagneriano”, qual era Marcel Proust. Nel secondo capitolo compare il valore aggiunto della seduzione – all’apparenza antagonista dell’amore – escludendo qualsiasi forma di coinvolgimento sentimentale e riducendosi, nella sostanza, a un processo mentale. “Una prima risposta viene dalle diverse accezioni del termine ‘amore’”, spiega Fusillo, “che è un macrotema con innumerevoli motivi paralleli al suo interno. “L’amore non è solo quello romantico e sentimentale, anche se è la sua declinazione più diffusa: esiste anche l’amore fisico, la sessualità polimorfica che può diventare amore panico per il tutto, energia dionisiaca allo stato puro come nel mito di Don Giovanni. In secondo luogo, l’opposizione è meno netta di quanto sembri: spesso, come vedremo, le storie di seduzione implicano anche innamoramenti e risvolti sentimentali, più o meno voluti. Infine, Esistono notoriamente anche passioni mentali: ed esiste anche un amore per l’atto stesso di sedurre, per la sua ripetizione infinita, per il cambiamento come molla di un vitalismo che esorcizza la morte”. In tal senso, emblematica è la proiezione della rappresentazione della figura di Don Giovanni nelle sue molteplici forme d’espressione, letterarie e culturali: “L’ingannatore di Siviglia” di Tirso de Molina come punto di partenza, e poi il teatro di Moliere, la musica di Mozart fino alle più recenti versioni cinematografiche. Infine, l’amore come “follia autodistruttiva” – questo il titolo della terza sezione, conclusiva, del volume – attraversando il “lato oscuro e ambivalente” della passione amorosa, raccontato soltanto da eroine dell’amore e di nuovo partendo dalla letteratura antica. La “Fedra” di Euripide è la ‘misura’ di genere da cui parte la declinazione tragica proposta da Fusillo che segue le variazioni sul tema nella versione ‘stoica’ di Seneca; nel capolavoro del classicismo francese riproposto da Racine; nella trasposizione – anche musicata – “barbarica e anticlassica” di D’Annunzio; e le due voci femminili di Marina Cvetaeva e Christa Wolf che, a inizio e fine Novecento, “ne trasformano radicalmente i tratti e producono una nuova immagine, più empatica di questa figura, anche se da prospettive profondamente diverse”. In parallelo – come del resto già successo nei capitoli precedenti – le versioni musicate del melodramma (una sorta di naturale derivazione della tragedia) e, ancora, il “tertium comparationis” del cinema. Da un lato, il corpus delle opere verdiane, variegatissimo nelle sue fonti letterarie e che spesso crea divari netti (o “dissimetrie”) tra le caratterizzazioni amorose delle eroine e dei personaggi maschili; ma pure “Lucia di Lamermoor” di Donizetti; la “Norma” di Bellini; e, soprattutto, “Madama Butterfly” di Puccini, con la protagonista che rappresenta “un Estremo Oriente seducente e sottomesso, pronto a essere conquistato da un Occidente potente e intraprendente”. Dall’altro, il melodramma cinematografico che Fusillo interpreta principalmente per la sua trasversalità attraverso, territori, generi e modalità espressive differenti. Dal cinema muto degli inizi dello scorso secolo passando per la sperimentazione europea di Antonioni, Fassbinder e Almodóvar, si giunge in conclusione, al caso estremo e provocatorio di “Le onde del destino” di Lars von Trier. Sull’autorevole traccia letteraria di Dostoevskij, il regista danese offre un esempio “di follia che non è altro che una sapienza più profonda, e di un amore assoluto che arriva all’autodistruzione e al sacrificio, per salvare un oggetto d’amore, in questo caso per nulla indegno o negativo, anzi profondamente complice, profondamente complice, ma sempre in secondo piano rispetto all’oltranza eroica della partner”.