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Home CULTURA & SOCIETÀ

Branagh, cronaca della morte (annunciata) della Christie

L'ennesimo remake di "Assassinio sul Nilo" è convincente sul piano cinematografico, ma cercare di riattualizzare la lady del giallo ormai non ha più molto senso

di Rosaria Fortuna
6 Marzo 2022
in CULTURA & SOCIETÀ
Tempo di lettura: 3 minuti
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Kenneth Branagh in Assassinio sul Nilo

Kenneth Branagh in Assassinio sul Nilo

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Kenneth Branagh  è indiscutibilmente inglese, attore shakespeariano, ultimamente con una passione per Agatha Christie, scrittrice inglese di gialli e non solo, tanto da continuare a metterla in scena a cinema con effetti non proprio soddisfacenti. L’ ultimo film da lui diretto “Assassinio sul Nilo”, è un flop anche in Cina, e anche se il produttore del film è Ridley Scott non è  bastato.

Ma è  davvero così  brutto questo film?

Raymond Chandler nel suo “Appunti sul noir”, un prontuario di dieci regole che Chandler considerava fondamentali per scrivere il romanzo perfetto, oltre a questo, scrive anche di autori che non considera propriamente geniali, per quanto riguarda la scrittura  noir. Agata Christie è una di questi. La  Christie « mette in scena una serie di eventi incongrui per approdare al crimine, mentre la struttura della storia nei noir deve essere abbastanza semplice nella sua essenza da poter essere spiegata facilmente, quando viene il momento. Il finale ideale è quello in cui tutto si fa chiaro in una breve sequenza di azioni. Idee così felici sono rare e uno scrittore  che riesce a concretizzare anche solo una volta è degno di lode». In pratica Chandler ci dà la chiave di lettura per spiegare questa difficoltà odierna della Christie di essere seduttiva.

Innanzitutto il mondo in cui il filo della narrazione va’ a collocarsi è cambiato, e tutto quel bisogno, anche di esotismo, che la scrittura della Christie si portava dietro, più per la componente coloniale che per una effettiva e reale conoscenza del mondo altro, oggi non funziona. Eppure  il Poirot di Branagh è convincente, non fosse altro per la contestualizzazione che ne viene fatta a inizio film, anche se il doppiaggio poi lo penalizza, allo stesso modo il cast e la sua scelta è stata fatta tra i protagonisti di serie di successo, più che tra attori da cinema noti. Non è una carrellata di stelle proprio perché la Christie è divenuta essa stessa commerciale. Oggi le serie Tv sono diventate più importanti del cinema, e Branagh e Scott lo sanno, da qui la scelta. Piuttosto è proprio la storia e la sua costruzione che non avvince, e quindi torniamo a Chandler, in maniera particolare non può avvincere uno spettatore abituato a ben altro, grazie a Netflix e alle altre piattaforme tematiche, se la storia poi procede senza grandi intuizioni.

Il film ha comunque avuto un iter complicato: cinque posticipi, causa pandemia, le polemiche sul cast e le conseguenti aspettative. Di sicuro il film del ‘78 diretto da  Guillermin aveva un altro passo. Quel film vinse un Oscar e ottenne una candidatura ai Golden Globe, la sceneggiatura era di Antony Shaffer, le musiche di Nino Rota, Antony Powell vinse per l’appunto l’Oscar per i costumi. Allora la Christie era tra le più importanti scrittrici viventi, ed era diverso il modo di affrontarla, anzi non la si affrontava, non la si discuteva. In molte parti di “Assassinio sul Nilo”, come nel caso del viaggio di nozze accompagnato, prevale l’elemento illogico della Christie. Non ha senso accompagnare degli sposi in viaggio di nozze se non c’è una ragione, non può essere il delitto la ragione, in ogni caso, soprattutto se poi il tutto si svolge come se ci trovassimo in una soap. Questo elemento diventa distruttivo nel film di Branagh, Guillermin invece se la cava con i costumi e i luoghi non riprodotti in studio. E infatti nella versione attuale del film non sono presenti il Menahouse del Cairo o l’ Old Cataract di Assuan, e non ci sono nemmeno David Niven, Bette Davis, Angela Lansbury , Maggie Smith, Mia Farrow, Jane Birkin, perché quel mondo è defunto, e quindi lo si cerca di mantenere in vita proprio usando gli artifici, artefatti, della Christie.

È paradossale come l’operazione di Branagh e di Scott abbia dato risalto a ciò che Chandler imputata all’autrice, in pratica il film non decolla perché è superata la Christie come autrice e volerla a tutti  i costi rimodernare, anzi attualizzare, la penalizza ulteriormente.

Ciò non toglie che il film possa anche essere gradevole, se lo si guarda pensando al monumento Agata Christie,  cosa forse non più possibile, e lo dimostra in maniera inequivocabile anche la scelta del gioiello da fare scomparire, in questo caso un oggetto “inscatolato” da Tiffany, ma la cui fattura tradisce un bisogno di riconoscibilità del marchio più che un componente strabiliante dell’oggetto , insomma niente a che vedere con il filo di perle perfette e lunghe del film precedente. Insomma la Christie non regge più il passare del tempo, Chandler  lo sapeva, « i suoi testi, che hanno ridefinito il noir, o meglio, l’hard boiled (genere caratterizzato dalla presenza di investigatori privati dalla vita dissipata, solitari, amanti dell’alcol e del fumo, misogini e senza relazioni stabili, e per l’enfasi che viene data a seduzione, violenza e ubriachezza più o meno molesta) presentano tutti quelle “idee felici che sono rare in uno scrittore”, e che hanno trasformato Philip Marlowe (il suo personaggio alter-ego) in una delle figure più verosimili e affascinanti della letteratura del Novecento, e non solo di genere. »

Troppo poco per il semplice canovaccio della Christie e per il povero Poirot.

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