Uno chalet isolato in montagna, due donne sedute alle estremità di un lungo tavolo di legno pregiato – sono due scrittrici, la talentuosa veterana Sveva Montaldo e la sua giovane e incerta allieva, Anna Alfieri. Queste immagini statiche di conflitto interamente al femminile sono il preludio di “Carne fredda”, progetto cinematografico nonché esordio alla regia del fumettista Roberto Recchioni, curatore editoriale di Dylan Dog, in collaborazione con Adler Entertainment e Red On production, presentato nell’ultima giornata del Napoli Comicon.
Questo breve film, confezionato come un menù d’alta cucina diviso in pietanze-capitoli, non nasce dall’idea di voler tradurre il linguaggio del fumetto sul mezzo cinematografico – al contrario, Recchioni ha voluto mettere temporaneamente da parte il suo bagaglio da fumettista per dedicarsi allo studio del metodo cinematografico con un approccio purista, essendo da sempre anche un grande appassionato di cinema. «Le inquadrature e la scrittura sono due parti del processo creativo del cinema che ho trovato più immediate perché sono facilmente adattabili dal fumetto,» ha spiegato l’autore, «la parte di novità assoluta è stata il rapporto con gli attori. In loro rivedo le ansie e le sensibilità anche un po’ fragili di noi disegnatori, ho sentito molta affinità.»
Proprio la passione per il cinema lo ha portato ad identificare dei modelli da seguire – in particolar modo Hitchcock, al quale si ispira in “Carne fredda” non solo per il bianco e nero che cala subito lo spettatore in un’atmosfera straniante, ma anche per il formato televisivo quadrato che sta diventando sempre più popolare in un certo cinema d’autore.
Un’altra ispirazione è Kubrick, in particolare i suoi tempi diluiti fino all’angoscia. «C’è una scena, nel film, in cui due personaggi salgono le scale. Nella versione per i festival l’abbiamo ridotta di molto, ma nel mio taglio dura circa tre minuti, e dopo il secondo minuto inizia a diventare quasi snervante da guardare,» ha raccontato Recchioni.
Tra i moderni, ha citato anche l’influenza di Robert Eggers (“The Lighthouse”) per la sua capacità di saper creare tensione con due soli personaggi rinchiusi in uno spazio. Agli anfratti angusti di “The Lighthouse” Recchioni contrappone una serie di vuoti – vuoto di suono, perché il silenzio è un elemento fondamentale dell’orrore, e vuoto tra le due donne protagoniste a rappresentare il gap di potere tra loro.
È il potere ad essere elemento portante di “Carne cruda”. «È la storia del ricco che divora il povero, che sia ricco di denaro, di talento, di potere,» ha spiegato Recchioni. «Il ricco non deve neppure ricorrere a mezzi illegali per divorare chi vuole, basta che gli faccia l’offerta giusta.»
L’ironia è un elemento fondamentale dell’orrore, e tra le ispirazioni di Roberto Recchioni figura anche la commedia drammatica “Lo scopone scientifico”, film del 1982 con Alberto Sordi e Bette Davis che utilizza il gioco come metafora dei rapporti di potere e di come sia una lotta ad armi ìmpari per chi potere non ne ha.
Il personaggio di Sveva Montaldo tiene sotto scacco la giovane e inesperta Alfieri con parole taglienti, umiliandola e sapendo di poterlo fare a oltranza senza ricevere risposte significative – la scrittrice più giovane, infatti, si avvale delle capacità della sua mentore per portare le proprie opere ad un livello superiore. Affidandosi a qualcuno di più esperto, ma anche più pericoloso, Alfieri consegna il proprio cuore pulsante a qualcuno che sta valutando se mangiarlo crudo o cotto. Forse, anche in senso più letterale.