La ‘bianca’ di poesia è tra le collane più longeve (inizia le pubblicazioni nel 1964) e tra le meglio assortite (con circa cinquecento titoli) dell’editore Einaudi. Riconoscibilissima per la copertina di colore bianco – disegnata da Bruno Munari in collaborazione con il designer svizzero Max Huber – ripropone, per ogni volume, sempre lo stesso formato (11 × 18 cm) nella stessa ‘griglia’ di presentazione: nome e cognome del poeta (e subito sotto quello del curatore o del traduttore se si tratta di un autore straniero), il titolo dell’opera e una poesia, che occupa lo spazio maggiore sulla facciata del cartoncino.
Non è nuovo, tra gli autori della collana torinese, il nome di Valerio Magrelli che compare, ristampato, per le opere d’esordio (“Ora serrata retinae”, “Nature e venature”, “Esercizi di tiptologia”, originariamente pubblicate da Feltrinelli e Mondadori) poi confluite nella ‘bianca’ con i volumi collettanei “Poesie (1980-1992)” e “Altre poesie” (Einaudi 1996). E sempre per lo “Struzzo” (e sempre parlando di poesia) Magrelli ha successivamente pubblicato “Didascalie per la lettura di un giornale”, “Disturbi del sistema binario” e “Il commissario Magrelli” (con la copertina, eccezionalmente, in giallo). Nel 2018 il volume einaudiano “Le cavie” ha messo insieme, per la seconda volta, tutta la produzione in versi del poeta romano.
Pure la copertina di “Exfanzia” – l’ultima raccolta di poesie di Magrelli uscita da pochi mesi ancora per Einaudi – rispetta la ‘consegne’ della collana ‘bianca’ anche se in questo caso il testo poetico funziona come (o forse addirittura meglio di) un’immagine: “Che sorrisone faccio, nella foto! / Sta per iniziare la gita/ e scherzo con gli amici./ Tra mezz’ora, cadendo,/mi romperò una spalla/ e poi sarò operato per due volte./ Ma che sorriso faccio, nella foto!/ Arreso, felice, imbecille./ Perché, se stiamo bene,/ abbiamo sempre l’aria da imbecilli./ Una foto qualsiasi, una storia qualsiasi./ Tendini come versi, lunghi e fragili./ Siamo fatti di vetro soffiato:/ l’unica cosa buona sta nel soffio”. Autoritratto in versi, racconto ‘per’ immagini (si tratti di fotografie, oppure di improvvise epifanie di oggetti personali e di opere d’arte, di paesaggi urbani e di spazi domestici, di persone, note, sconosciute o dimenticate) secondo una modalità narrativa ormai consolidata – e riconoscibilissima – nella scrittura poetica di Magrelli. “Exfanzia” – conio dell’autore – offre la testimonianza della maturità dell’io narrante (altra peculiarità costante nel dettato stilistico magrelliano, che registra un’unica eccezione con la terza persona parlante nel già citato “Commissario Magrelli”) e la dichiarazione di una presa di coscienza: l’uscita, la definitiva fine di una dimensione, temporale e biografica, che però ancora conserva le sue tracce nel “condominio di carne” (prendendo in prestito un titolo in prosa di Magrelli) del poeta: “È possibile uscire vivi dalla vecchiaia?/ Poi mi guardo allo specchio/ e vedo papà e mamma/ che abitano il mio volto/ disputandoselo./ Allora non ve ne siete ancora andati!,/ penso, vedendo che fanno capolino/ sulla mia faccia, giocando/ tra le linee del viso”. Continuum identitario che si manifesta, dunque, nella stratificazione generazionale e biologica – il corpo, anche in questa raccolta, è un ‘osservatorio’ privilegiato per il poeta-proprietario – ma anche nella compresenza (ovvero nella tacita convivenza) delle tre “matrici” culturali alle quali è possibile ricondurre la ‘profilazione’ intellettuale di Magrelli: il poeta e lo scrittore in prosa; il professore e il saggista; il traduttore. Chi fa questo mestiere,/ lavorare studiando,/ a volte pensa che i libri lo arricchiscano./ Non è così: ci divorano vivi,/ ci divorano e spolpano,/ ci scavano e assottigliano./ Più vivo, più dimentico tutto quanto sapevo./ Non so più niente; anzi,/ sono spazzato via da ciò che ho letto./ Mi riduco a una briciola, corroso,/ eroso da tutte quante quelle storie/ che hanno soffiato anni anni su di me./ I libri ti lavorano, come il vento, la roccia./ Ogni libro che leggo, mi lima,/ mi cancella e smeriglia, aspro agente atmosferico./ Più leggo, più sparisco:/ mi atrofizzo,/ polverizzato dalle parole altrui”.