È tutto passato, comunque. Non ha più importanza, in realtà. Non voglio dire che il passato non abbia importanza, sapere quello che è successo per capire cosa stiamo facendo e come siamo diventati quello che siamo e quali storie ci raccontiamo. Dico che non voglio recriminazioni, tutti questi affari di famiglia, tutti questi pettegolezzi che risalgono indietro all’infinito. Ha notato come la storia dell’islam è legata ai litigi familiari? Lo dirò in maniera diversa per non correre il rischio di offenderla. So come siamo sensibili noi musulmani. Ha notato le incredibili conseguenze dei litigi familiari nella storia delle società musulmane? Abdulrazak Gurnah, Sulla riva del mare, La nave di Teseo. Pagg. 382. Ciò che racconta il premio Nobel 2021 della Letteratura è una lunga e intricata storia di dolore e di sofferenza in un corollario di colonialismo, peripezie, e odissee di rifugiati tra culture e continenti. Abdulrazak Gurnah è un romanziere a tutti gli effetti. Certo ci si dovrà abituare al suo modo di narrare. Un raccontare lento, ma anche affascinante se non antico. A tratti ricorda i nonni o gli anziani che quando raccontano si perdono nelle trame di un passato che cercano di dilatare e di non perdere ma che alla fine smarriranno. E forse è proprio quello il fine, smarrirsi. Qui invece è diverso. È un modo di andare a ritroso nel tempo come a cercare i fili che dopo si dovranno annodare in una perfezione di sospensione, di vita gentile, ma soltanto se si avrà un po’ di fortuna. Evitare la doppiezza del linguaggio, dice uno dei protagonisti del libro, che fa ormai parte di una pratica, di un’abitudine che maschera il nulla delle nostre vite. Così il racconto deve chiudersi, essere esatto, ed essere attesa. Nessuna fibra deve trovarsi fuori posto, così come nessun destino essere sterile. Si fa parte di un uno che si deve compiere, tradursi o meglio ancora presentarsi.
La letteratura è anche tutto questo: una doppiezza che non è ipocrisia, impostura, falsità in un’infinità di storie che si occultano ma che alla fine vengono a galla per completarsi in una lingua comune, quella del dolore, del passato e della verità. La storia è semplice come il linguaggio che Abdulrazak Gurnah usa, ma il disegnato è complesso, vario. Non mancano riflessioni filosofiche né si disdegnano citazioni colte, una per tutte, lo scrivano Bartleby di Melville, quasi un alter ego del protagonista, Saleh Omar, un sessantacinquenne mercante di mobili di Zanzibar, richiedente asilo in Inghilterra. Egli lascia una terra, già predata e offesa dai colonizzatori, dove il genio del male si è incarnato in governanti ladri pronti a ogni forma di moderna violenza politica: carcerazioni assurde e inumane, offese e mutilazioni. “A volte, in quello stato di sogno fra il sonno e la veglia, scorgevo a tratti una figura che avevo visto nell’infanzia, un uomo il cui naso era stato strappato completamente, sicché nello spazio fra gli occhi e la bocca c’erano due buchi color carne che entravano direttamente nella testa.” Al suo arrivo a Londra, all’aeroporto di Gatwick, Saleh mostra un visto non valido rilasciato in patria con il nome di un suo acerrimo nemico, Rajab Shaaban Mahmud, ciò perché Saleh possedeva il suo certificato di nascita. A Saleh è stato consigliato di fingere di non capire una parola d’inglese, per essere agevolato nel chiedere asilo come rifugiato, per cui l’assistente sociale che ha preso in carico il suo caso si trova costretta a chiedere la consulenza di un esperto di Kiswahili, uno dei dialetti dell’Africa orientale, ma l’inflessibilità della sorte vuole che l’interprete sia Latif Mahmud, il figlio di Rajab. L’uomo, ora professore d letteratura inglese, ha tagliato ogni ponte con la sua famiglia di origine dagli anni ‘60, quando ha chiesto asilo come rifugiato in Inghilterra, dove vive nella nostalgia della sua terra. Saleh si trova così a faccia a faccia con Latif in una cittadina inglese sul mare. Entrambi rifugiati, con un’origine e un destino ad accomunarli. Qui, in questo luogo d’infinità, in una minuta stanza, finalmente, si raccontano il rammarico, il rimorso, qualche imperizia. Il male. L’amarezza. La prigionia. La gratitudine. La dolcezza. Gli incanti di certe isole e di certi fantasmi. Si libera in un certo qual modo la colpa, il sollievo, una distensione, in un clima intriso di tensione e di leggerezza. Di gomma profumata e di oud al-qamari. Ecco, si arriva alla fine del libro con una certa rilassatezza. Non c’è più rabbia né rancore. Solo il mare, le sue rive, i suoi spazi vastissimi. La letteratura, a volte, si fa preghiera. Una semplice e autentica simpatia. Un’autentica capacità di ascolto.
Abdulrazak Gurnah, Sulla riva del mare, La nave di Teseo. Pagg. 382