L’umanità che resiste. È il sottotitolo del libro “La mia Siria” di Rosanna Sirignano, pubblicato da Villaggio Maori Edizioni di Catania.
Di cosa parla “La mia Siria”? Parla di una zona del mondo vicina ma dimenticata dalle popolazioni e media europei. Di una zona del mondo in cui si combatte una guerra mondiale in miniatura, sui corpi e i territori della popolazione siriana, come più volte ha ribadito Sirin Adlbi Sibai, un’importante studiosa femminista originaria di Damasco, per la quale non può esserci né perdono né deve esserci oblio di ciò che è accaduto e continua a succedere. È quella in Siria una guerra che ha provocato milioni di sfollati interni (circa 6 milioni e mezzo), di rifugiati all’estero (circa 5 milioni e mezzo) ed almeno 350 mila morti (secondo stime di Human Right Watch). Una guerra iniziata nel 2011, che ha stravolto o distrutto in modo diretto la vita di almeno 12 milioni di persone, in un paese che nel 2010 aveva 20 milioni di abitanti. Una catastrofe. In un paese in cui fino a pochi anni in tanti andavano a studiare arabo, come aveva fatto anche l’autrice del libro, Rosanna Sirignano, dottoranda di ricerca presso l’Università di Heidelberg, in cui è anche membro associato del Cluster of Excellence Asia and Europe nel Graduate Programm for Transcultural Studies, e nel quale la vita quotidiana aveva una sua struttura sebbene influenzata dai diritti negati da parte del governo di Assad. Ed è proprio la vita quotidiana ad essere centro e trama del libro “La mia Siria”, con protagoniste le storie, i racconti, le riflessioni di una serie di persone che hanno vissuto, conosciuto, amato la Siria.
E per questa ricchezza di umanità bisogna ringraziare Rossana Sirignano, che ha voluto raccontare anche una parte di sé o, per meglio dire, un mondo di relazioni che fanno parte del suo mondo di produzione culturale, di amicizie, di denuncia civile e politica. La Siria, la sua popolazione, chi è dovuto scappare, spesso oggi costretto a vivere in condizioni terribili nella povertà di alcuni quartieri di Istanbul o nei campi profughi, continuano ad essere soli, oggetto di scontri militari e geopolitici, di cui sono gli unici a pagare davvero.