Una sottile lebbra infetta molti dei nostri adolescenti. Una malattia che dà morte e semina morte e disperazione. Si spande come umore apparentemente salvifico, come qualità di vita sopra le riga, mondi allucinati, paradossi esistenziali. Nel suo percorso non rispamia nessuno. Distrugge i pensieri quelli belli, i sogni e quanto è presente di buono nelle coscienze. I giovani hanno la fragilità dei frutti in amore, la solitudine, la necessità dello stare insieme. Diventano gruppo, emulazione e, molte volte, trasgressione. Genitori, sociologi, educatori, politici, istituzioni tentano un’autopsia del fenomeno. Parlano di bullismo, di stese, di violenza, di noia, di famiglia e scuola e tante altre storie. Nel salotto del perbenismo e delle dotte letture il confronto serrato è fatto di parole d’ordine, di doveri e opportunità mancate, di una società disfatta. Molti cadono nel labirinto dei luoghi comuni, nessuno trova la via per una realtà di perdenti che abita il niente.

Le soluzioni degli esperti si sovrappongono, si avvitano per confondere l’ascoltatore che s’interroga sul perché di tanta violenza, di tanta alienazione. Facebook per tutta risposta proietta nella sfera di cristallo le immagini brutali del giorno dopo perché il giorno dopo sarà un giorno come l’altro e come nel gioco del domino cadranno categorie indifese, anziani, giovani vittime di altri giovani. Si ripete ogni sabato notte il rituale dell’ipocrisia alla luce sinistra di una luna malefica. Rassicura i non allineati al vocabolario delle falsità che, in fondo, è soltanto “movida”, soltanto un’intensa e vivace vita artistica e culturale notturna, occasionalmente, fatta di alcol, droghe, urla, vomito, piscio e a fine notte per i più “fortunati” di una corsa folle verso la morte che coinvolge spesso vittime innocenti. Questa è la realtà del sabato sera. Questa la realtà che vedo dal balcone di casa mia. Una piccola realtà che vola come una scheggia impazzita e si ripete e si moltiplica una, due, mille volte e coinvolge altri adolescenti ancora bambini. Questo il futuro rubato a una cittadina di storia millenaria, di civiltà illuminante, di giusti lavoratori. Non parlerò il linguaggio dei moralisti ma con l’interrogativo e la preoccupazione dell’uomo comune che chiede in assenza di una intelligente e reale prevenzione dei fenomeni della devianza, che le regole siano efficaci e vadano rispettate.