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Home EDITORIALI L'Editoriale

Le antiche origini dell’arroganza no Vax

di Silvia Siniscalchi
18 Agosto 2021
in L'Editoriale, PRIMOPIANO
Tempo di lettura: 4 minuti
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Le antiche origini dell'arroganza no Vax
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di Silvia Siniscalchi

Nella calura di questi giorni i bla bla quotidiani su COVID, vaccini e green card girano e rigirano nell’aria rovente come le pale dei ventilatori. Fa però sempre un certo effetto sapere che alcuni medici e operatori sanitari in varie regioni d’Italia sono sospesi dal servizio perché rifiutano di farsi vaccinare, preferendo il rischio di un contagio di cui sminuiscono portata ed effetti. Consola sapere che questi illustri esponenti della classe medica (e paramedica) siano tanto più consapevoli e intelligenti della media dei loro colleghi da avere ideato una versione ‘fai da te’ del giuramento di Ippocrate. E il conforto aumenterebbe se questi stessi brillanti professionisti, oltre a respingere l’inoculazione dei vaccini anti-COVID, proponessero soluzioni alternative applicabili su larga scala e non solo sulle pagine dei social e tra le quattro mura di casa propria. Tanto più perché ai vari soloni illuminati si aggancia una pletora di presuntuosi orecchianti, per lo più ignoranti convinti di sapere tutto, che, con piglio ‘intellettualistico’, riesumano in salsa COVID il tema retorico-mitologico del complotto sionista per il controllo della popolazione mondiale, che ha attraversato l’Europa dal Medioevo in poi.

La lunga “fiction” del complottismo

Ne sono esempi i “Protocolli dei Savi di Sion” pubblicati in Russia nel 1903 (poi smascherati come falsi), magnificati dal Mein Kampf di Hitler, nonché uno specifico genere cinematografico ideato negli anni Venti dal regista Fritz Lang, di cui il personaggio del dott. Mabuse, tratto dal romanzo omonimo di Norbert Jacques, è l’esempio più famoso. I personaggi dei video di ispirazione complottista che oggi girano su internet hanno una caratura artistica più modesta, perché appartenenti al mondo reale: Rothschild, Rockefeller, Soros, Bill Gates e via dicendo sono diventati tanti dott. Mabuse, pericolosi orditori di una congiura diabolica per il controllo del pianeta attraverso il COVID e i vaccini. Così presentate queste ‘teorie’ fanno quasi ridere, ma le ricostruzioni fondate su paralogismi, se non su veri e propri sofismi, sono pericolose per un popolo di naviganti facilmente suggestionabili, al punto che la Commissione Europea, per mettere a nudo il meccanismo logico su cui sono surrettiziamente costruite, ha dedicato al tema una pagina internet specifica (https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/coronavirus-response/fighting-disinformation/identifying-conspiracy-theories_it).

Al netto di tutte le interpretazioni fantasiose, l’unico autentico problema è stabilire se il pericolo vero siano i rischi – ampiamente certificati – del virus o le conseguenze – del tutto ipotetiche – dei vaccini mRNA o a vettore virale. Sospendendo la questione su quale di queste due scelte sia più o meno fideistica e su come funzioni l’interazione fra le tre parti del cervello umano (primordiale, emotiva e logica) teorizzate da MacLean, emerge tuttavia una certa qual somiglianza tra le dispute di oggi e quelle del passato, tanto più significative in una città come Salerno, storicamente legata alla sua Scuola medica. Si sono nel frattempo moltiplicati gli studi sullo sviluppo della medicina nelle varie epoche e sul processo che da scienza di carattere individuale, contaminata da pratiche magiche, religiose e credenze popolari, l’ha trasformata in un sistema di assistenza, cura e prevenzione collettiva controllato dallo stato. Sono stati determinanti nel merito eventi e riforme del XVIII secolo, soprattutto dopo la Rivoluzione francese, spartiacque della storia moderna europea anche dal punto di vista sanitario.

Con il Codice di San Leucio il Regno si aprì alla scienza

Appare perciò sorprendente il tempismo con cui, proprio nel novembre del 1789, un sovrano ‘reazionario’ come Ferdinando IV di Borbone autorizzi la stampa del Codice della Real Colonia di San Leucio, ispirato a un programma di rinnovamento sociale di stampo illuministico, redatto vent’anni prima dall’allora ministro Tanucci. Il Codice, molto aggiornato e moderno anche negli aspetti socioassistenziali, recepisce i dettami di una nuova impostazione del problema sanitario, sulla base di risultati scientifici della scienza medica, spesso contestati e rifiutati dalla popolazione del tempo, per ignoranza e insensati pregiudizi, sostenuti talvolta dagli stessi medici. Il Codice, oltre a stabilire che gli ospedali dovevano essere luoghi di cura e degenza per i soli malati, ponendo fine alla condizione promiscua che li aveva sino ad allora destinati ad accogliere anche orfani, vagabondi e derelitti di ogni specie, stabilisce precise regole sanitarie per la cura scrupolosa della pulizia personale e delle abitazioni. Il richiamo rimanda al decoro individuale e al rispetto della convivenza sociale ma anche alla prevenzione di infezioni ed epidemie, a fronte di convincimenti arcaici e pseudo-religiosi della popolazione settecentesca (come quello di lavarsi poco o nulla, soprattutto in caso di malattia) e della proliferazione del vaiolo in Europa, bloccato prima con il metodo della variolizzazione (inoculazione a scopo profilattico del virus), già attuato da secoli in Oriente, poi con il vaccino, introdotto nel 1798 da Edward Jenner, medico e naturalista britannico.

La polemica sui vaccini del XVIII secolo

Il Codice di San Leucio accoglie le ragioni del movimento a favore della variolizzazione, sostenuto in Italia anche da intellettuali come Cesare Beccaria e Pietro Verri, e stabilisce che ogni anno, nei periodi precedenti le grandi epidemie (primavera e autunno), tutti i ragazzi e ragazze della colonia vi fossero obbligatoriamente sottoposti. Il Codice esprime così una posizione chiara nel dibattito su una delle più accese questioni scientifico-culturali dell’Italia moderna, divisa tra fautori e oppositori della variolizzazione, similmente a quanto avviene oggi ma con una differenza sostanziale: la pratica del tempo era effettivamente rischiosa, perché richiedeva una competenza applicativa ancora in fieri. Tuttavia, i benefici superavano i danni: nel 1756 l’imperatrice Maria Teresa d’Austria (la cui famiglia era stata decimata dal male), sentiti i pareri favorevoli di vari consulenti, dette l’assenso per l’attuazione del metodo in Toscana, colpita da una violenta epidemia di vaiolo. Ferdinando IV di Borbone andò oltre: dopo aver perduto due figli nel 1788 a causa del contagio, fece variolizzare il resto della prole e, con un dispaccio, rese obbligatoria la pratica in tutto il Regno. Decisione senz’altro favorita da un potere assoluto oggi impensabile, che però rivela la capacità dei governi del tempo di assumersi il peso e la responsabilità di provvedimenti gravi ma urgenti. Un esempio che, a fronte dei troppi detrattori del vaccino contro il COVID, a oggi unica soluzione praticabile in un orizzonte scientifico costituito da verità parziali a tempo determinato, i politici dovrebbero avere il coraggio di emulare senza più esitazioni.

(Dal Quotidiano del Sud del 18 agosto 2021)

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“Salerno Sera” (Registro stampa Tribunale di Salerno n° 26/11 del 30 novembre 2011) - © 2021 Società editrice Soluzioni S.c.a.r.l.

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