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Home CULTURA & SOCIETÀ

Manganelli e la notte incurabile dell’universo

Pubblicato postumo nel 2015, ritorna in libreria un manoscritto risalente al 1965 di uno dei più geniali autori della letteratura italiana del Novecento

di Salvatore Marrazzo
12 Aprile 2022
in CULTURA & SOCIETÀ, Scaffale libri
Tempo di lettura: 4 minuti
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Giorgio Manganelli

Giorgio Manganelli

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Da millenni la notte non muta: essa è, forse, incurabile, e gli indizi che noi abbiamo in rozzi segni, i manoscritti e graffiti, ci dicono come i gesti della notte siano sempre identici, immersi in una follia costante come deve essere costante la sua devozione. Dunque la malattia della notte, quel suo vano concentrarsi nella solitudine sovraffollata di pochi gesti rovinosi e apocalittici, la sua fissità taciturna, la penosa astuzia dei suoi poveri ammiccare, risalgono ai tempi iniziali, primigeni. Fu forse il diavolo, il capovolto, a suscitare in lei uno sventurato amore, e in suo onore si è la notte trasformata, con la stolida mimesi dell’amorosità, in imitazione di un’anima dell’inferno? O forse sarà la sua follia indizio di quel talun teologo problematico, sospetto, essere cioè morto il dio che presiede alla creazione, essersi forse disfatto nell’orrenda pena del parto; o forse lo sgomento della macchina sassosa ed omicida avviata negli spazi ha ucciso il buon Dio, ignaro che tanta mole stava per nascere dalla sua scelta temeraria. Giorgio Manganelli, Notte tenebricosa, Graphe.it, pagg.160. L’opera, pubblicata postuma nel 2015 da Aragno con il titolo Catatonia notturna, vede ora nuova luce e titolo, non fosse altro per l’intima e, a volte, sorprendente intervista, a conclusione del libro, rilasciata da Lietta Manganelli che parla di suo padre a Emiliano Tognetti. Il manoscritto di questo testo come informa l’aletta di questa edizione si può far risalire al 1965, in altre parole nel pieno della neoavanguardia del Gruppo 63, del quale Giorgio Manganelli fu membro attivo, sebbene la sua produzione letteraria e giornalistica difficilmente possa essere inquadrata, sistemata, incasellata in qualcosa di definitivo e chiuso. È piuttosto singolare e coinvolgente, come d’altra parte non poteva essere diversamente, come il Manga riesca a essere talmente un caso unico nel panorama letterario e non una circostanza dovuta ai tempi, nonostante “quei tempi” fossero quelli della sperimentazione a oltranza, della richiesta di libertà o della lotta contro ogni forma di conformismo o di governo. Così parafrasando lo stesso Manganelli, mentre le autorità politico-religiose erano in conclave estetico per decidere delle sorti della letteratura e se essa fosse fatua o semplicemente criminosa, il Manga si svaga, si distrae, o piuttosto retoricamente sogghigna, s’impasta, s’inzacchera, si macchia di parole e ride. Ride come solo un amanuense, un affranto, un introverso sa fare. Loro, tutte queste figure minime o superne, ridono dall’interno. Ho sempre immaginato Manganelli provare il massimo piacere, ma anche felicità, beatitudine, nell’attimo della scrittura, nel momento in cui strani e bastevoli vocaboli potevano ritrovarsi vicini e durare, essere fantastiche letizie, letti coniugali, sogni di universi e d’insperate o disgraziate notti. La notte è stata ciò che più di ogni altra “cosa” Manganelli abbia esplorato nel suo durevole, profondo e magnificamente strampalato legame con la letteratura. Giacché, se la notte è nevrotica, noi siamo forse i suoi sogni sinistri, i suoi incubi, le sue oniriche premonizioni, e la notte deve interpretarci, e man mano che noi cresciamo in senso e simbolo, noi ci disfacciamo, come accade degli incubi analizzati, e forse ogni morto non è che una seduta di cosmica analisi, ma altri incubi sopravvengono; i dinosauri vennero spiegati milioni di anni fa, ora restiamo noi, implacabile orrore notturno.

Manganelli e la notte incurabile dell'universoMa su quale lettuccio è stesa la notte e chi, e con quale tecnica indaga nelle sue viscere mentali? Ipotizziamo che non sia lo psicanalista, e che il tettuccio sia l’infinito, il mondo, l’universo intero, e che la notte non sia altro che una metafora e che come tale sia talmente riuscita ad abbracciare l’intero universo, allora non si può che tracciare nella forma informe del centone un delirio metafisico anch’esso nei modi, a tratti, della psicoanalisi, della teologia, della riflessione filosofica o della farsa letteraria. E tutto ciò intorno al concetto della notte. O delle sue sembianze. Così che la notte sia predicabile cosmogonia o prepotente gastronomia, e che l’universo, i mondi non siano altro che alimento, piatto, pietanza da buongustai. Quanto profetico è stato Manganelli in ciò. Supponiamo, dunque, scrive Manganelli, ad apertura del testo, che la notte sia una grandissima pentola; ne verrà, in primo ordine d’immagini, che noi in essa stiamo addentro, e dunque siamo cibo. […] E a chi ribattesse, essere l’universo dilatato ed espansivo, l’ingegnoso  oratore replicherà: no, ma solo essere quello svolatìo di pepe e sale, come quando il cocitore ne fa getto subitaneo, e quelli svolano un poco, prima di posarsi sulle fin allora sciape vivande. Ma la notte è anche dispensa. Scaffale. O si pensi la notte come frigorifero. Malata di mente. Innamorata di qualche Dio. Apocalittica. Sognatrice. O addirittura notturna. O non sarà codesto secchio delle immondizie, pattumiera, ruera, in cui le nostre carni e vegetali e cristalli si accumulano in disordinato orrore, cibi scartati, timbrati come commestibili, o addirittura marci e iniqui, semi di botulismo e tifo, quartiere di putrescenza, colonia di putredine, disfatto regno di pestilenza, lazzaretto di re e geni, lebbrosario di voluttà, averno di gloria? Comunque sia, la notte ha bisogno di figure angeliche e demoniache, affinché essa prosperi in allegorie o mito e che il predicatore, santo o blasfemo, possa predicare o l’interprete interpretare, o il traduttore tradurre. Personaggi, insomma, mirabilia, dogmi, divieti, obblighi, e riti. Profili terreni e ultraterreni. Personalità come Asmodeo, il manovratore e cibernete della mestola. Eleuterio, santo distaccato nelle regioni infernali. Tuttavia, tra annotatori, cronisti, inviati speciali del destino o di qualche sovrastante abisso, è la figura dell’Avvocato a emergere sostanziosa, e come superbo traslato di un meccanismo cosmologico e come un perfetto sviluppo di una teoria dell’ambiguo. L’avvocato, scrive il Manga, sta diventando per la sua losca virtù e nobile sconcezza la figura intermedia e liminare: colui che può, solo, transitare da un cielo all’altro, o da un inferno all’altro; la sua infima delinquenza lo rende idoneo a percorrere tutto l’universo, e a lui si rivolgeranno certamente i plenipotenziari dell’uno e dell’altro regime, il giorno che si desse inizio a trattative definitive di rappacificamento tra l’uno e l’altro campo. Pagine bellissime quelle sull’Avvocato che con molta probabilità ha qualche rapporto con la notte; forse sono amanti. O forse la notte si fa complice e nella sua oscurità labirintica, essa accoglie ognuno nella sua inquietudine o tensione, o linguaggio. E l’Avvocato è della notte solo un ospite, come noi tutti, d’altra parte. Un coinvolgimento, allora, è la notte. O magari una semplice fatalità. O una preziosa volta da decifrare sempre. Un emisfero che Manganelli non smise mai di esplorare. Un’ossessione che fa di questo libro, come altri di Manganelli, dei veri e propri capolavori assolutamente da leggere e comprendere. Pagine di grande letteratura di un autore tra i più geniali, sarcastici e spirituali, e parimenti ancora poco compreso che l’Italia abbia mai avuto.

Giorgio Manganelli, Notte tenebricosa, Graphe.it, pagg.160

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